Donald Barthelme – Atti innaturali, pratiche innominabili

16 Apr

Avete presente quelle immagini formate da un mosaico di migliaia di piccole foto giustapposte? Quelle che, guardate da vicino, sembrano messe lì per caso, e invece se ci si allontana e si dà un’occhiata alla figura intera si scopre che un senso in fondo c’è, e che ogni piccola sfumatura di ciascuna foto contribuisce a creare l’effetto finale. Ecco, è esattamente la sensazione che suscita questa raccolta di racconti. Non solo ciascun brano rappresenta un pezzetto di mosaico, ma all’interno di ognuno di essi si trova un’infinità di tasselli ancora più minuti, accostati con un gusto per l’accumulo di dettagli da far girare la testa. Scene, personaggi, situazioni sono raccolti ed esposti senza nesso apparente, senza seguire una trama né un filo logico. Forse i lettori ideali di Barthelme sarebbero proprio i protagonisti dei suoi racconti, se solo potessero affrancarsi dalla pagina: in fondo, “di bello Alice ha prima di tutto che le piace il caos“.

Ogni racconto si divora nel tentativo di coglierne l’essenza sfuggente, e alla fine lascia storditi, a bocca asciutta ma con la testa piena. Di domande, perlopiù. Gli accostamenti sono confusi come in sogno, con passaggi che a uno sguardo superficiale appaiono totalmente privi di senso, onirici, surrealisti. Assurdi. Tutto si trasforma di continuo, si sgretola sotto lo sguardo, minando ogni certezza. I personaggi sono un momento qui, quello dopo lì, e magari due righe dopo non sono nemmeno più gli stessi, in un gioco labirintico che al primo impatto lascia totalmente spiazzati. Un gusto per l’accumulo visionario di pensieri, immagini, oggetti senza nesso apparente che instilla confusione e sconcerto.

Ma sforzarsi di trovare il senso dei singoli racconti sarebbe un errore. Ce lo dice indirettamente Barthelme stesso, in quel capolavoro che è “Il pallone”: “non insistere troppo sulla ricerca dei significati”. Una volta capito questo, è piacevole abbandonare ogni pretesa di afferrare tutto e lasciarsi cullare dal caos, guardandosi attorno in ciascun racconto con lo stupore negli occhi, disorientati ma rapiti, folli ma sognanti, inseguendo citazioni e personaggi. La mancanza di senso, poi, è solo apparente: in profondità, sotto le mille immagini contrapposte, si intravvedono una sensibilità e un’attenzione per i dettagli più intimi della vita umana degne di nota. Ed è così che anche un racconto completamente privo di punteggiatura, o uno su un Robert Kennedy che affoga vestito da Zorro, acquistano un senso che non è cerebrale ma puramente emotivo.

Barthelme è stato definito in molti modi: surrealista, pirotecnico, postmoderno, ma forse per trovargli una definizione degna ci vorrebbe un talento eclettico almeno quanto il suo. Si può solo immaginare quanto dev’essere stato difficile per Ranieri Carano tradurre una raccolta di questo genere. minimum fax ha presentato la sua vecchia traduzione per Bompiani rivista da Federica Aceto e corredata di una prefazione di Aimee Bender, riuscendo a restituire l’estrosa assurdità di un linguaggio mai banale.

L’unico modo per apprezzare Barthelme è farsi trasportare, scavare sotto i significati primari e trovarne di nuovi anche nelle frasi più assurde, casuali, stupefacenti.

“La vedi la luna? Ci odia.”

Donald Barthelme, Atti innaturali, pratiche innominabili
traduzione di Ranieri Carano, prefazione di Aimee Bender
titolo originale: Unspeakable Practices, Unnatural Acts
minimum fax, 2005
158 pagine, 10 €
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