Questa recensione la scrivo di getto, con gli occhi ancora un po’ lacrimosi e il naso che cola, perché ho appena finito uno di quei libri così belli che questo blog è nato apposta per lanciarli nel mondo.
Ho conosciuto Fabio Genovesi con Chi manda le onde, poi ho letto Versilia Rock City, e li ho adorati uno più dell’altro, fino ad arrivare a questo suo Il mare dove non si tocca che ancora una volta mi ha presa e mi ha scaraventata in un mondo bellissimo, dove succedono anche cose brutte ma dove c’è tanta di quella poesia, di quella semplicità, di quella umanità che basterebbe non solo per due o tre libri, ma per una vita intera.
E avrei tanto voluto offrirgli uno spettacolo meno tremendo, ma non sapevo se metterci dentro un po’ di verità o inventarmi qualcosa di più bello, e questo è proprio strano e mica tanto incoraggiante, che nella vita devi sempre scegliere fra una cosa vera e una cosa bella, e non sono mai la stessa.
E qui si parla della vita di un ragazzino, Fabio, che cresce insieme alla mamma, al babbo, alla nonna e a un intero assortimento di nonni-zii, ovvero fratelli del suo nonno scomparso, che lo crescono come se fosse figlio di tutti loro, ma siccome loro sono un bel po’ strani, se lo strattonano di qua e di là e Fabio cresce come un alberello un po’ storto ma forte. Quando inizia ad andare a scuola, però, scopre che al mondo esistono altri bambini della sua età, bambini che lo vedono solo storto, strano, perché non sono ancora capaci di guardargli dentro. E Fabio si sente diverso da tutti, forse lo è, anche per via di quella maledizione che ricorre nella sua famiglia, secondo la quale se arrivi a quarant’anni senza esserti mai sposato, come tutti i suoi zii, diventi matto.
Ci vuole un po’ per capire che diventare matti non è poi così male, se l’alternativa è diventare come tutti gli altri e badare solo ai soldi, alle feste, al mettersi in mostra. Fabio invece cresce con un gruppo di amici sgangherati, che non si è scelto ma che sono gli unici che gli parlano, e per lui la cosa più importante del mondo è riavere il suo babbo a casa dopo che gli è successa una cosa brutta.
Genovesi scrive come se parlasse a un amico, e difatti ci si sente subito amici di questa famiglia buffa e folle, e viene voglia di sedersi a tavola con loro, di assaggiare la loro grappa, di andar per boschi, di salire sul loro camioncino e fare discorsi che sembrano non avere capo né coda e invece sono profondissimi.
Ma le cose belle sono come quelle brutte, è difficile farsele uscire dalla bocca, così restano a gonfiarti la gola mentre dici solo le cose medie. Il meglio dei nostri discorsi resta sempre rinchiuso dentro di noi, a morire nel buio.
È uno di quei libri che leggi mezzo ridendo e mezzo piangendo, e io li adoro, i libri così. Se l’avete già letto, se amate già Genovesi, leggete anche We Are Family di Fabio Bartolomei (tutti Fabio si chiamano, sarà un caso?), e ascoltate le canzoni di Stefano Barotti. Ci ritroverete quello sguardo sul mondo, quel modo di descrivere situazioni e personaggi e attimi che ti fa subito pensare che qualcuno ti abbia letto dentro, che sia riuscito a mettere in parole una cosa così semplice e universale che nessuno si era mai preso la briga di descriverla; eppure le cose così sono le migliori, quelle che mentre le leggi ti fanno fare sì con la testa e ti fanno salire le lacrime agli occhi e un sorriso sulle labbra, perché sono vere e pure e meravigliose, come questo libro.
Ogni tanto le cose meravigliose si stufano di stare lì sedute a invecchiare nel mondo della fantasia, allora una scatta in piedi, prende un giorno a caso della tua vita e ci si tuffa dentro.
Fabio Genovesi, Il mare dove non si tocca
Mondadori, 2017
324 pagine, 19€
Un libro a dir poco stupendo… a dir pochissimo